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APPUNTI DI UN VIAGGIATORE #1


26/03, Bologna

Cammino protetto dalle frasche di questo sole e circondato dalle radici vetuste di questi mattoni. Una musica gitana si fonde col mio animo in una danza paragonabile ad un amplesso privo di qualsiasi concetto. Ho sete di passato. Il futuro è nascosto dietro un angolo.


EDUSIL


Bert era un bambino disordinato, gli piaceva inventare storie piuttosto che leggerle  e amava cantare a squarciagola. Viveva però a Edusil, capitale di Zitbuori, un paese controllato da “Il Partito Del Silenzio e Della Buona Educazione” e, ogni volta che, in giro per le strade, provava a cantare il padre gli assestava in fretta un ceffone. La costituzione di Zitbouri era composta da 3 articoli:
#1 il paese è una Repubblica fondata sulla buona educazione.
 #2 tutte le persone devono usare un tono di voce che non deve superare i 35 decibel.
 #3 nessuno può dimenticarsi delle buone maniere in qualsiasi situazione.
Tutte le famiglie avevano in casa il Manuale della Buona Educazione e il governo, aveva fatto installare ovunque dei sensori di cattive maniere con incorporati dei rilevatori di decibel. Capitava così, in questo paese, che chi faceva all’amore tutti i giorni e alla sera litigava venisse immediatamente arrestato e costretto nelle celle del silenzio mentre, chi rubava sottobanco nel rispetto della buona educazione, non subisse alcuna punizione, mazzette e corruzione, infatti, non erano punibili per legge se fatte a modo. Bert non capiva il motivo di tutti quei ceffoni, voleva solo cantare. Quella mattina era uscito con i suoi genitori per fare acquisti e, come al solito, si chiedeva perché lungo quell’enorme marciapiede, tutti camminassero in modo ordinato. Il piccolo Bert sognava di radunare tutti i bambini e fare una partita a pallone o almeno una corsa nei pressi del lago. D’un tratto, la quiete di quella marcia silenziosa, venne spezzata da un urlo proveniente da un negozio di scarpe. La folla sbigottita si bloccò e, senza accalcarsi intorno al negozio, si mise ad osservare gli agenti del governo in marcia verso il luogo del misfatto. Un ladro, in modo gentile, aveva chiesto al negoziante tutti i soldi riposti nella cassa nascondendo un’ elegante pistola e quello, già in crisi, aveva dato di matto e, urlando, gli aveva spaccato una mazza da baseball in testa. Ora il negoziante veniva accompagnato educatamente fino all’auto delle guardie, mentre il ladro gentiluomo veniva soccorso e riverito. Per un evento del genere si sarebbe svolto, lo stesso pomeriggio, un Processo all’Ordine nella  piazza principale di Edusil.

[pausa]

Bert a casa sua non faceva altro che giocare con la fantasia, disegnava personaggi immaginari come dragoni, unicorni e altri animali mai visti. Ricordava solo alcune scene dei tempi in cui i suoi genitori lo portavano al parco a correre, ora le passeggiate erano serie e piene di divieti: non poteva buttarsi a terra, non poteva giocare a nascondino e neanche a pallone. Lo stesso pomeriggio tutta la famiglia, ordinata e ben vestita, uscì di casa per assistere al processo all’Ordine. Era uno dei pochi eventi che venivano organizzati in città e quindi, seppur triste, era quasi una festa per la gente del posto. E così tutti gli abitanti si riversarono in piazza, sempre nel rispetto delle buone maniere. Nessuno rubava i posti, nessuno saltava la fila e i bambini non si lamentavano, erano tutti fermi davanti a un palco ordinatissimo, disposti come un esercito e in ordine di altezza: i bambini davanti e i giocatori di basket in ultima fila. Sul palco, vi era un funzionario del partito che aveva delle enormi sopracciglia squadrate, gli occhi deformati da un paio di occhiali spessissimi e indosso uno smoking nero perfettamente stirato. Al centro del palco, il negoziante accusato del reato, era controllato a vista da 2 agenti. Il funzionario iniziò a leggere una pergamena: “lei, signor Naseta, è accusato di aver violato tutte e 3 le leggi dell’Ordine e della Buona Educazione. Ha  superato il livello decibel consentito, non ha mantenuto la calma che si addice a un cittadino del nostro paese e soprattutto, non ha rispettato le regole della buona educazione” Il negoziante, disperato, provò a ribattere spiegando le sue ragioni ma il funzionario irritato disse: “Lei continua a non rispettare l’ordine, non può urlare … mi costringe ad agire di conseguenza … agenti! imbavagliatelo” La folla era silenziosa perché tutti sapevano che il brusio avrebbe fatto scattare gli allarmi. Anche i bambini ormai erano ammaestrati, 5 anni di buona educazione stavano facendo effetto. Bert osservava le persone sul palco e non capiva perché il signore seduto non potesse rispondere. Ricordò allora il giorno in cui andarono a casa sua gli uomini vestiti di nero per prelevare i libri non educati e disordinati, era riuscito a salvarne solo uno, nascondendolo sotto al letto. Era l’unico libro che era riuscito a leggere, escludendo i manuali imposti dalla scuola, e raccontava di un lupo accusato ingiustamente dagli altri animali di aver rubato le pecore di una fattoria e, solo grazie al saggio maiale, che gli permise di difendersi, riuscì a dimostrare che le pecore, stanche della loro vita, erano partite per una terra lontana. Allora Bert non resistette e urlando, per farsi sentire dal funzionario, chiese “Ma perché lui non può parlare?” il pubblico fece un verso di stupore, il padre di Bert sarebbe voluto correre a tappargli la bocca, ma non poteva creare disordine e superare la gente, era una questione di educazione. Il funzionario incredulo, scrutò il bambino attraverso i suoi spessi occhiali e disse: “Cos’hai detto?”, Bert ripeté ancora più forte “ Perché lui non può parlare? E se non ha fatto niente?”, il funzionario diventò tutto rosso e, sempre in modo educato, disse “Bambino i tuoi genitori non ti hanno insegnato l’educazione? Non puoi parlare quando parlo io, questo signore ha sbagliato e ora deve pagare e ti consiglio di tacere!”, Bert non si arrese e mentre il funzionario stava per pronunciare la pena dell’imputato urlò: “Non è giusto! Sei un vecchiaccio!” tutti i bambini iniziarono a ridacchiare, il funzionario perse il controllo e iniziò ad urlare. La folla sbalordita iniziò a scomporsi, una persona di quel rango che infrangeva tutte le leggi? Com’era possibile? Notato il brusio, il funzionario riacquistò il  controllo e, in modo fermo ma gentile, disse alle guardie di prelevare il bambino e i suoi genitori. Il burocrate (forse ho scritto troppe volte funzionario) non si preoccupò delle sue urla di poco prima, la folla le avrebbe presto dimenticate con l’imposizione di una Settimana del Rigore.

[ultima pausa]

Bert venne condotto nella Grande Sala al cospetto dei Tre Saggi dell’Educazione e i genitori furono rinchiusi nelle celle del silenzio con l’accusa di non aver educato a dovere il loro figliolo. Bert si sentiva minuscolo davanti ai saggi disposti a semicerchio e seduti su delle colonne alte almeno due metri. I tre saggi erano i massimi esponenti del governo e la leggenda narrava che avessero vissuto per anni nel silenzio e nell’ordine più assoluto. Col tempo, erano diventati  dei profeti adorati dalle masse e, aiutati dai loro seguaci, erano riusciti a assumere il controllo del paese. Il primo saggio guardò Bert e gli chiese sussurrando “come ti chiami?”, “mi chiamo Bert” aveva risposto il piccolo. “ Caro Bert perché non rispetti la buona educazione e il silenzio, vuoi male ai tuoi genitori e alla gente che vive nel tuo paese?” Bert rispose: “no, io voglio bene a tutti, solo che..” Il secondo saggio intervenne: “Quello che vogliono tutti è vivere in armonia e senza litigi, e se vuoi bene a tutti devi seguire le regole”, “Ma io voglio cantare e giocare a pallone”, Il terzo saggio proseguì: “ Queste cose non sono bene, derivano dal male che origina il disordine, se vuoi bene a tutti devi seguire le regole che ci sono sui manuali e vivrai felice, senza bisogno di urlare, litigare, domandare … insomma vivrai tranquillo”. Bert allora disse:” Ma io voglio leggere i libri belli non i manuali, non c’è niente di magico in quelli” A quel punto una farfalla gli si posò sul naso e lui la racchiuse tra le mani. “Voglio volare come questa farfalla”. Bert iniziò a correre per la stanza cantando e inseguendo la farfalla e i saggi cominciarono ad innervosirsi. Le guardie, che non vedevano una scena così da parecchio tempo,  sorrisero.

Dopo qualche minuto uno dei saggi alzò la cornetta del telefono e mormorò:“Vanda?... salve … mandi gli Operatori della Pulizia, c’è un cadavere qui nella Grande Sala e 2 nelle celle del silenzio, segua la solita procedura”. 

Bologna - Imola


Sono qui seduto nella carrozza numero  4 del regionale diretto a Ravenna, e sto platealmente perdendo la battaglia col mio zaino per il quale non trovo nemmeno uno spazio a causa dell’enorme numero di valigie che appartengono al mio vicino. E va bene, stavolta hai vinto tu, vieni in braccio insieme al giubbotto. Mi guardo un po’ intorno e realizzo che il treno è una full immersion antropologica, pari almeno a quella che si può avere in un centro commerciale il giorno della vigilia di Natale. Davanti a me c’è un vecchietto con le cuffie nelle orecchie, ha scambiato solo poche frasi con la moglie al suo fianco e tiene il tempo con le dita dandosi dei colpetti sulla gamba. Mentre cerco di indovinare la musica che sta ascoltando, mi concentro su una ragazza seduta due file più avanti. E’ bionda con gli occhi marroni, indossa una maglietta bianca col simbolo della pace e continua a fissare il paesaggio oltre il vetro opaco del finestrino, ha lo sguardo triste e pensieroso. Le cause potrebbero essere migliaia e la mia mente scontata in un primo momento mi induce a pensare ad un litigio con il ragazzo o qualche altro affare che ti rovina la giornata quando hai più o meno 18 anni. Non mi lascio sopraffare così e allora mi convinco che qualche sera fa, a tavola coi suoi, ha confessato  di avere un debole per le sue amiche: la madre ha dato di matto e il padre, per tutta risposta, ha abbassato lo sguardo e alzato il volume della tv come se avesse paura che, l’immagine di sua figlia che tocca le parti intime di quella sua amica così carina, potesse essere in qualche modo percepita dalla moglie. Ma forse sto correndo troppo con la fantasia (ma soprattutto andrei ad affrontare un argomento troppo grande sul quale sono stato istruito in modo distorto da youporn) e quel tatuaggio che ha sul polso non è frutto di una qualche protesta ma solo il segno di una moda, allora cambio soggetto e, al fianco di un uomo grassoccio che legge e sottolinea il sole 24ore con gli occhi arrossati per lo sforzo, osservo un'altra ragazza. Ha i capelli neri e gli occhi azzurri come a dire hey, guardami, sono qui solo per farti impazzire! Le cuffie bianche dell’ipod spariscono all’interno di un cappottino nero mentre muove le labbra belle e mute seguendo le note che le accarezzano le orecchie. Distolgo lo sguardo dalla camicetta bianca (le cosiddette zinne) per tornare a guardare fuori, il treno che corre e noi fermi al suo interno ad aspettare, ecco, adesso ricominci con la filosofia?,devo farlo, ma stavolta sono meno convinto,quindi torno a fissarle il viso, ci ricasco. Ti incrocio per un istante e fulminea mi catturi, sono un bersaglio troppo facile, un cecchino alle prese con una montagna farebbe più fatica. Altro che metafore, siamo in viaggio baby, potrei tirar fuori dallo zaino una chitarra e suonarti una canzone, e se hai un altro?, probabilmente è proprio quel tipo seduto di fronte a te, ma non lo saprò mai e allora non dico niente, meglio aspettarci in silenzio. Maledetto treno, sono bloccato, vorrei darti il meglio di me, farmi valere, ma non so neanche come ti chiami. Ti fai fermare da una valigia? Mi son fatto fermare da molto meno, ma cosa posso fare se non tentare di prolungare questo momento?  So solo che dopo inventerò più di una scusa ma non fa niente,osservaci da fuori,  siamo lo stereotipo di una coppia sposata in giro per negozi. Sento che hai già letto quel che penso e allora rimaniamo d’accordo, appena scendo giuro che non mi volterò per vederti correre via, ma tornerò a casa a pensare che ero con te, immerso nelle campagne soleggiate, e non facevamo altro che star fermi, mentre tutto fuori scorreva veloce, la più banale delle poesie, un occhio del ciclone piacevole come una mattina d’estate, triste come un albero d’inverno...una voce mi informa di essere arrivato a destinazione … con 10 minuti di ritardo. 

Il treno è quello che prendo quasi tutti i giorni, stavolta son riuscito a vincere un posto a sedere e mentre cerco inutilmente una posizione comoda con la testa, osservo il paesaggio che scorre nel finestrino. Distese di campagna e poco spazio lasciato all’urbanizzazione. E’ un attimo perdersi nel mare dei  dettagli, ho sempre ritenuto Escher un degno architetto del mondo, i suoi paradossi costruttivi rappresentano in modo encomiabile la dipendenza che sento nei confronti del caos. Nella mia testa vive l’antitesi dell’ordine, la teoria psicanalitica basata su un iceberg solido e regolare è evidentemente una balla, meglio il Titanic che affonda di James Cameron. Su questa teoria tento di seguire il mio percorso, certo è più facile perdersi con una benda sugli occhi ma, se la strada  fosse sempre dritta,sento che finirei per morire isolato nello sconforto della monotonia. Eccoti là in fondo, fermo, che mi guardi mentre urli a tutti che un fantasma ti ha appena chiesto un po’ d’acqua. Niente di personale, ma preferisco i tornanti privi di lampioni. Nonostante ciò continuo a spremermi mentre cerco una formula perfetta e l’avrei già trovata se non mi avessero convinto che il tempo perso per essa sia proporzionale alla sua complessità. Divento geloso dei miei sogni, li tengo stretti al petto perché potrebbero sbriciolarsi in volo, bruciati dagli sguardi di chi non ha mai assaggiato il gusto dell’utopia. Son proprio quegli sguardi che mi hanno commissionato questa ricerca, e son sempre loro che cercano di guarire la mia dipendenza sin da quando portavo un 20 di scarpe, solo che non sono ancora riusciti a dirmi gli effetti nocivi che ne derivano. Gli regalerei uno dei miei sogni se non fossero incastrati all’interno di trame troppo strette e buie per poterci avvitare anche solo una lampadina, l’hanno fatto apposta, la chiamano autoconservazione. Per ora non mi lamento troppo, ho sempre trovato delle buone scuse, ho detto a tutti di essermi perso e di aver visto Arianna scappare su una nave dorata ma dentro di me maledico ancora il giorno in cui mi innamorai dell’apprendimento, ora so che nell’infinito dell’esistenza, un giorno, tutto verrà raddrizzato. Rigiro tra le mani queste idee lisce come palle da biliardo mentre noto una casa in rovina in mezzo a un enorme campo verdeggiante. Ti svelo un segreto baby, l’inferno è un privilegio per pochi.

LA STRADA - parte 2



Mi giro di scatto e lo osservo mentre si dirige verso il bancone, si muove in modo sciolto, forse dimostra più anni di quanti ne abbia veramente. Una volta arrivato a destinazione  dà un’occhiata veloce al registro che avevo notato poco prima e poi lo richiude. Provo a fare la mia richiesta: “salve, voglio questi e una bottiglietta d’acqua e poi il pieno alla macchina grazie”.Non risponde. Sposta uno sgabello di legno e vi si siede sopra guardandomi dritto negli occhi ma senza proferir parola. Interdetto provo a ripetergli cosa voglio, immagino sia un pò sordo e quindi scandendo le parole e mimando gli oggetti ripeto: “salve, prendo questi, una bottiglietta d’acqua e poi il pieno alla macchina grazie”.  Continua a fissarmi altri 2 secondi e finalmente risponde: “non sono sordo” poi riapre il registro e inizia a scorrere i nomi col dito. Lo osservo stupito. Mi spazientisco, l’armonia è sparita, la musica è diventata fastidiosa e il disagio che mi provocava il vecchio si trasforma velocemente in astio. Dopo varie pagine si ferma, mi guarda e accenna un sorriso.

V: “ Benvenuto, sei pronto?”.
B:“pronto? Non so di cosa stia parlando, voglio solo quanto le ho già detto, e se non le spiace ho una certa fretta”
V:“Fretta…va bene sono 8 dollari e 50, questa è l’acqua … per il pieno andiamo fuori”.
Sollevato lo seguo. Eccoci di nuovo fuori. Prima di arrivare a destinazione si volta di scatto. Noto ancora più rughe ora che la sua faccia è illuminata dal sole.
V:“ Picchia il sole oggi è?”
B:“Si, è insopportabile, anche il motore la pensa allo stesso modo” indico la mia mustang.
V:“Veramente un bel pezzo”.
B: “Già, ci tengo molto, ho sudato parecchio per averla”.

E’ cambiato ora. Sembra più spigliato. Si rigira e si avvicina alla pompa, la prende in mano e inizia a iniettare la benzina all’interno del serbatoio.

V:“Sai, io non credo che ti servirà”.
B:“Cosa?”
V:”Non credo che ti servirà l’auto alla fine di questa strada”.
B:“E lei cosa ne sa? Avrò un sacco di cose da fare e certamente ne avrò bisogno … tra l’altro, ora che ci penso, sa quanto serve per raggiungere la meta?”
V: “Dammi pure del tu ragazzo. Comunque, non so,ci son stato solo una volta e ora non mi è più permesso arrivare oltre la fine della strada … non ricordo”.

Son sempre più confuso.

B:“Cosa vuol dire che non ti è permesso? Se è un problema di mezzi, ti ci porto io.”
V:Scoppia in una risata fragorosa che mi lascia interdetto. “Sei molto gentile ragazzo ma proprio non posso, il mio posto è qui”

Certo ormai  vive qui da sempre però arrivare a dire che non gli è permesso, chissà, forse la vita solitaria e isolata gli avrà fatto perdere la testa.

V: “Non ho sempre vissuto qui ragazzo,la mia, è stata una vita normale o almeno spero, questa non è la vita che tu conosci, qui non puoi avere rimpianti o essere triste … perché tutto pian piano verrà cancellato, il tuo passato non esisterà più”

Mi spavento, sembra che mi abbia letto nel pensiero.

V:”non spaventarti … io sono stato messo qui, e qui svolgo il ruolo che mi sono meritato,e tu sarai messo da un’altra parte è il destino di tutti prima o poi. Sai, ero come te,credevo di essermi perso ma, sembra impossibile, non mi ero accorto di niente, è così, sono le regole, hai seguito, diciamo, un corso di formazione e ora devi svolgere il tuo lavoro … e dimenticherai tutto, non so perché ma dimenticherai tutto, io lo so, sono il guardiano.”

Capisco sempre di meno.

B:“Tu sei pazzo vecchio, e io non mi sono perso, ho un sacco di cose da fare a destinazione”
V:Sorride.“allora ti faccio una domanda, dove sei diretto?”.
Quella domanda mi coglie alla sprovvista.
B:“In fondo alla strada”.
V:“interessante, ma tu sai dove finisce questa strada?”
B:“Certo che lo so, sono partito ieri notte perché ho delle cose urgenti da fare”
V:“Però non sai di preciso cosa devi fare …”

Rimango sgomento.
B: “Stai blaterando vecchio, eccoti i soldi io ho fretta”
V:“certo, certo, vai, hanno tutti fretta quelli che passano di qui, ma non capite che qui il tempo non ha senso, non esiste se non nella dimensione in cui …”.

Non lo lascio finire e rientro in macchina, parto velocemente e nello specchietto noto che mi saluta con la solita aria appagata che mi innervosisce. In macchina ripenso alle sue parole, effettivamente non ho riferimenti, lungo la strada non ho visto cartelli,non riesco proprio a ricordare perché sono partito e dove sono diretto, so di aver delle cose urgenti da fare ma non le ricordo. Dai Beppe, ragiona, ci deve essere una spiegazione logica. Inizio a sudare freddo, non è che … driiiiin-driiiiin-driiiiiin