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Giugno




E' arrivato Giugno e sei  seduto a sorseggiare il tuo happy hour con quella ragazza che non sposerai mai, quando arriva, come un ospite indesiderato, qualche pioggia, a ricordati tutte le cose che hai ancora da fare prima di poterti  godere a pieno quell’ aperitivo sul lungomare.
Ammettilo, il suono del mare, quello vero, te lo sei quasi scordato, ma non ti importa perché a Giugno, col sapore dell’estate che ti stuzzica i sensi, ti accontenti anche dell’ultimo pezzaccio di Pitbull. 
Guardati intorno! non ti viene da pensare che, nonostante tutto, è Giugno? il mese in cui le tipe girano in mutande e con le zinne al vento, il mese in cui ti puoi  liberare di tutti quei brand che ti hanno fottuto col concetto delle mode e ora che nessuno ne può più, il vintage la fa da padrone.
Ho sottomano un calendario pieno delle date in cui sarebbe dovuto finire il mondo, l’ultima era ieri, eppure siamo ancora qua, forse stiamo peggiorando,dipende dai punti di vista. Io so solo che negli anni ’80 la gente si incazzava perché gli avevano rubato le chitarre e ora?. Comunque, nonostante Lucenzo, il fisico da lanciatore di coriandoli e Magalli in tv al mattino, è pur sempre Giugno,il sole inizia a cuocere e ti accorgi che,in fondo, dà una certa soddisfazione sentire il sudore che cola mentre stai per segnare quel goal spettacolare.

APPUNTI DI UN VIAGGIATORE #1


26/03, Bologna

Cammino protetto dalle frasche di questo sole e circondato dalle radici vetuste di questi mattoni. Una musica gitana si fonde col mio animo in una danza paragonabile ad un amplesso privo di qualsiasi concetto. Ho sete di passato. Il futuro è nascosto dietro un angolo.


EDUSIL


Bert era un bambino disordinato, gli piaceva inventare storie piuttosto che leggerle  e amava cantare a squarciagola. Viveva però a Edusil, capitale di Zitbuori, un paese controllato da “Il Partito Del Silenzio e Della Buona Educazione” e, ogni volta che, in giro per le strade, provava a cantare il padre gli assestava in fretta un ceffone. La costituzione di Zitbouri era composta da 3 articoli:
#1 il paese è una Repubblica fondata sulla buona educazione.
 #2 tutte le persone devono usare un tono di voce che non deve superare i 35 decibel.
 #3 nessuno può dimenticarsi delle buone maniere in qualsiasi situazione.
Tutte le famiglie avevano in casa il Manuale della Buona Educazione e il governo, aveva fatto installare ovunque dei sensori di cattive maniere con incorporati dei rilevatori di decibel. Capitava così, in questo paese, che chi faceva all’amore tutti i giorni e alla sera litigava venisse immediatamente arrestato e costretto nelle celle del silenzio mentre, chi rubava sottobanco nel rispetto della buona educazione, non subisse alcuna punizione, mazzette e corruzione, infatti, non erano punibili per legge se fatte a modo. Bert non capiva il motivo di tutti quei ceffoni, voleva solo cantare. Quella mattina era uscito con i suoi genitori per fare acquisti e, come al solito, si chiedeva perché lungo quell’enorme marciapiede, tutti camminassero in modo ordinato. Il piccolo Bert sognava di radunare tutti i bambini e fare una partita a pallone o almeno una corsa nei pressi del lago. D’un tratto, la quiete di quella marcia silenziosa, venne spezzata da un urlo proveniente da un negozio di scarpe. La folla sbigottita si bloccò e, senza accalcarsi intorno al negozio, si mise ad osservare gli agenti del governo in marcia verso il luogo del misfatto. Un ladro, in modo gentile, aveva chiesto al negoziante tutti i soldi riposti nella cassa nascondendo un’ elegante pistola e quello, già in crisi, aveva dato di matto e, urlando, gli aveva spaccato una mazza da baseball in testa. Ora il negoziante veniva accompagnato educatamente fino all’auto delle guardie, mentre il ladro gentiluomo veniva soccorso e riverito. Per un evento del genere si sarebbe svolto, lo stesso pomeriggio, un Processo all’Ordine nella  piazza principale di Edusil.

[pausa]

Bert a casa sua non faceva altro che giocare con la fantasia, disegnava personaggi immaginari come dragoni, unicorni e altri animali mai visti. Ricordava solo alcune scene dei tempi in cui i suoi genitori lo portavano al parco a correre, ora le passeggiate erano serie e piene di divieti: non poteva buttarsi a terra, non poteva giocare a nascondino e neanche a pallone. Lo stesso pomeriggio tutta la famiglia, ordinata e ben vestita, uscì di casa per assistere al processo all’Ordine. Era uno dei pochi eventi che venivano organizzati in città e quindi, seppur triste, era quasi una festa per la gente del posto. E così tutti gli abitanti si riversarono in piazza, sempre nel rispetto delle buone maniere. Nessuno rubava i posti, nessuno saltava la fila e i bambini non si lamentavano, erano tutti fermi davanti a un palco ordinatissimo, disposti come un esercito e in ordine di altezza: i bambini davanti e i giocatori di basket in ultima fila. Sul palco, vi era un funzionario del partito che aveva delle enormi sopracciglia squadrate, gli occhi deformati da un paio di occhiali spessissimi e indosso uno smoking nero perfettamente stirato. Al centro del palco, il negoziante accusato del reato, era controllato a vista da 2 agenti. Il funzionario iniziò a leggere una pergamena: “lei, signor Naseta, è accusato di aver violato tutte e 3 le leggi dell’Ordine e della Buona Educazione. Ha  superato il livello decibel consentito, non ha mantenuto la calma che si addice a un cittadino del nostro paese e soprattutto, non ha rispettato le regole della buona educazione” Il negoziante, disperato, provò a ribattere spiegando le sue ragioni ma il funzionario irritato disse: “Lei continua a non rispettare l’ordine, non può urlare … mi costringe ad agire di conseguenza … agenti! imbavagliatelo” La folla era silenziosa perché tutti sapevano che il brusio avrebbe fatto scattare gli allarmi. Anche i bambini ormai erano ammaestrati, 5 anni di buona educazione stavano facendo effetto. Bert osservava le persone sul palco e non capiva perché il signore seduto non potesse rispondere. Ricordò allora il giorno in cui andarono a casa sua gli uomini vestiti di nero per prelevare i libri non educati e disordinati, era riuscito a salvarne solo uno, nascondendolo sotto al letto. Era l’unico libro che era riuscito a leggere, escludendo i manuali imposti dalla scuola, e raccontava di un lupo accusato ingiustamente dagli altri animali di aver rubato le pecore di una fattoria e, solo grazie al saggio maiale, che gli permise di difendersi, riuscì a dimostrare che le pecore, stanche della loro vita, erano partite per una terra lontana. Allora Bert non resistette e urlando, per farsi sentire dal funzionario, chiese “Ma perché lui non può parlare?” il pubblico fece un verso di stupore, il padre di Bert sarebbe voluto correre a tappargli la bocca, ma non poteva creare disordine e superare la gente, era una questione di educazione. Il funzionario incredulo, scrutò il bambino attraverso i suoi spessi occhiali e disse: “Cos’hai detto?”, Bert ripeté ancora più forte “ Perché lui non può parlare? E se non ha fatto niente?”, il funzionario diventò tutto rosso e, sempre in modo educato, disse “Bambino i tuoi genitori non ti hanno insegnato l’educazione? Non puoi parlare quando parlo io, questo signore ha sbagliato e ora deve pagare e ti consiglio di tacere!”, Bert non si arrese e mentre il funzionario stava per pronunciare la pena dell’imputato urlò: “Non è giusto! Sei un vecchiaccio!” tutti i bambini iniziarono a ridacchiare, il funzionario perse il controllo e iniziò ad urlare. La folla sbalordita iniziò a scomporsi, una persona di quel rango che infrangeva tutte le leggi? Com’era possibile? Notato il brusio, il funzionario riacquistò il  controllo e, in modo fermo ma gentile, disse alle guardie di prelevare il bambino e i suoi genitori. Il burocrate (forse ho scritto troppe volte funzionario) non si preoccupò delle sue urla di poco prima, la folla le avrebbe presto dimenticate con l’imposizione di una Settimana del Rigore.

[ultima pausa]

Bert venne condotto nella Grande Sala al cospetto dei Tre Saggi dell’Educazione e i genitori furono rinchiusi nelle celle del silenzio con l’accusa di non aver educato a dovere il loro figliolo. Bert si sentiva minuscolo davanti ai saggi disposti a semicerchio e seduti su delle colonne alte almeno due metri. I tre saggi erano i massimi esponenti del governo e la leggenda narrava che avessero vissuto per anni nel silenzio e nell’ordine più assoluto. Col tempo, erano diventati  dei profeti adorati dalle masse e, aiutati dai loro seguaci, erano riusciti a assumere il controllo del paese. Il primo saggio guardò Bert e gli chiese sussurrando “come ti chiami?”, “mi chiamo Bert” aveva risposto il piccolo. “ Caro Bert perché non rispetti la buona educazione e il silenzio, vuoi male ai tuoi genitori e alla gente che vive nel tuo paese?” Bert rispose: “no, io voglio bene a tutti, solo che..” Il secondo saggio intervenne: “Quello che vogliono tutti è vivere in armonia e senza litigi, e se vuoi bene a tutti devi seguire le regole”, “Ma io voglio cantare e giocare a pallone”, Il terzo saggio proseguì: “ Queste cose non sono bene, derivano dal male che origina il disordine, se vuoi bene a tutti devi seguire le regole che ci sono sui manuali e vivrai felice, senza bisogno di urlare, litigare, domandare … insomma vivrai tranquillo”. Bert allora disse:” Ma io voglio leggere i libri belli non i manuali, non c’è niente di magico in quelli” A quel punto una farfalla gli si posò sul naso e lui la racchiuse tra le mani. “Voglio volare come questa farfalla”. Bert iniziò a correre per la stanza cantando e inseguendo la farfalla e i saggi cominciarono ad innervosirsi. Le guardie, che non vedevano una scena così da parecchio tempo,  sorrisero.

Dopo qualche minuto uno dei saggi alzò la cornetta del telefono e mormorò:“Vanda?... salve … mandi gli Operatori della Pulizia, c’è un cadavere qui nella Grande Sala e 2 nelle celle del silenzio, segua la solita procedura”. 

Bologna - Imola


Sono qui seduto nella carrozza numero  4 del regionale diretto a Ravenna, e sto platealmente perdendo la battaglia col mio zaino per il quale non trovo nemmeno uno spazio a causa dell’enorme numero di valigie che appartengono al mio vicino. E va bene, stavolta hai vinto tu, vieni in braccio insieme al giubbotto. Mi guardo un po’ intorno e realizzo che il treno è una full immersion antropologica, pari almeno a quella che si può avere in un centro commerciale il giorno della vigilia di Natale. Davanti a me c’è un vecchietto con le cuffie nelle orecchie, ha scambiato solo poche frasi con la moglie al suo fianco e tiene il tempo con le dita dandosi dei colpetti sulla gamba. Mentre cerco di indovinare la musica che sta ascoltando, mi concentro su una ragazza seduta due file più avanti. E’ bionda con gli occhi marroni, indossa una maglietta bianca col simbolo della pace e continua a fissare il paesaggio oltre il vetro opaco del finestrino, ha lo sguardo triste e pensieroso. Le cause potrebbero essere migliaia e la mia mente scontata in un primo momento mi induce a pensare ad un litigio con il ragazzo o qualche altro affare che ti rovina la giornata quando hai più o meno 18 anni. Non mi lascio sopraffare così e allora mi convinco che qualche sera fa, a tavola coi suoi, ha confessato  di avere un debole per le sue amiche: la madre ha dato di matto e il padre, per tutta risposta, ha abbassato lo sguardo e alzato il volume della tv come se avesse paura che, l’immagine di sua figlia che tocca le parti intime di quella sua amica così carina, potesse essere in qualche modo percepita dalla moglie. Ma forse sto correndo troppo con la fantasia (ma soprattutto andrei ad affrontare un argomento troppo grande sul quale sono stato istruito in modo distorto da youporn) e quel tatuaggio che ha sul polso non è frutto di una qualche protesta ma solo il segno di una moda, allora cambio soggetto e, al fianco di un uomo grassoccio che legge e sottolinea il sole 24ore con gli occhi arrossati per lo sforzo, osservo un'altra ragazza. Ha i capelli neri e gli occhi azzurri come a dire hey, guardami, sono qui solo per farti impazzire! Le cuffie bianche dell’ipod spariscono all’interno di un cappottino nero mentre muove le labbra belle e mute seguendo le note che le accarezzano le orecchie. Distolgo lo sguardo dalla camicetta bianca (le cosiddette zinne) per tornare a guardare fuori, il treno che corre e noi fermi al suo interno ad aspettare, ecco, adesso ricominci con la filosofia?,devo farlo, ma stavolta sono meno convinto,quindi torno a fissarle il viso, ci ricasco. Ti incrocio per un istante e fulminea mi catturi, sono un bersaglio troppo facile, un cecchino alle prese con una montagna farebbe più fatica. Altro che metafore, siamo in viaggio baby, potrei tirar fuori dallo zaino una chitarra e suonarti una canzone, e se hai un altro?, probabilmente è proprio quel tipo seduto di fronte a te, ma non lo saprò mai e allora non dico niente, meglio aspettarci in silenzio. Maledetto treno, sono bloccato, vorrei darti il meglio di me, farmi valere, ma non so neanche come ti chiami. Ti fai fermare da una valigia? Mi son fatto fermare da molto meno, ma cosa posso fare se non tentare di prolungare questo momento?  So solo che dopo inventerò più di una scusa ma non fa niente,osservaci da fuori,  siamo lo stereotipo di una coppia sposata in giro per negozi. Sento che hai già letto quel che penso e allora rimaniamo d’accordo, appena scendo giuro che non mi volterò per vederti correre via, ma tornerò a casa a pensare che ero con te, immerso nelle campagne soleggiate, e non facevamo altro che star fermi, mentre tutto fuori scorreva veloce, la più banale delle poesie, un occhio del ciclone piacevole come una mattina d’estate, triste come un albero d’inverno...una voce mi informa di essere arrivato a destinazione … con 10 minuti di ritardo. 

Il treno è quello che prendo quasi tutti i giorni, stavolta son riuscito a vincere un posto a sedere e mentre cerco inutilmente una posizione comoda con la testa, osservo il paesaggio che scorre nel finestrino. Distese di campagna e poco spazio lasciato all’urbanizzazione. E’ un attimo perdersi nel mare dei  dettagli, ho sempre ritenuto Escher un degno architetto del mondo, i suoi paradossi costruttivi rappresentano in modo encomiabile la dipendenza che sento nei confronti del caos. Nella mia testa vive l’antitesi dell’ordine, la teoria psicanalitica basata su un iceberg solido e regolare è evidentemente una balla, meglio il Titanic che affonda di James Cameron. Su questa teoria tento di seguire il mio percorso, certo è più facile perdersi con una benda sugli occhi ma, se la strada  fosse sempre dritta,sento che finirei per morire isolato nello sconforto della monotonia. Eccoti là in fondo, fermo, che mi guardi mentre urli a tutti che un fantasma ti ha appena chiesto un po’ d’acqua. Niente di personale, ma preferisco i tornanti privi di lampioni. Nonostante ciò continuo a spremermi mentre cerco una formula perfetta e l’avrei già trovata se non mi avessero convinto che il tempo perso per essa sia proporzionale alla sua complessità. Divento geloso dei miei sogni, li tengo stretti al petto perché potrebbero sbriciolarsi in volo, bruciati dagli sguardi di chi non ha mai assaggiato il gusto dell’utopia. Son proprio quegli sguardi che mi hanno commissionato questa ricerca, e son sempre loro che cercano di guarire la mia dipendenza sin da quando portavo un 20 di scarpe, solo che non sono ancora riusciti a dirmi gli effetti nocivi che ne derivano. Gli regalerei uno dei miei sogni se non fossero incastrati all’interno di trame troppo strette e buie per poterci avvitare anche solo una lampadina, l’hanno fatto apposta, la chiamano autoconservazione. Per ora non mi lamento troppo, ho sempre trovato delle buone scuse, ho detto a tutti di essermi perso e di aver visto Arianna scappare su una nave dorata ma dentro di me maledico ancora il giorno in cui mi innamorai dell’apprendimento, ora so che nell’infinito dell’esistenza, un giorno, tutto verrà raddrizzato. Rigiro tra le mani queste idee lisce come palle da biliardo mentre noto una casa in rovina in mezzo a un enorme campo verdeggiante. Ti svelo un segreto baby, l’inferno è un privilegio per pochi.

LA STRADA - parte 2



Mi giro di scatto e lo osservo mentre si dirige verso il bancone, si muove in modo sciolto, forse dimostra più anni di quanti ne abbia veramente. Una volta arrivato a destinazione  dà un’occhiata veloce al registro che avevo notato poco prima e poi lo richiude. Provo a fare la mia richiesta: “salve, voglio questi e una bottiglietta d’acqua e poi il pieno alla macchina grazie”.Non risponde. Sposta uno sgabello di legno e vi si siede sopra guardandomi dritto negli occhi ma senza proferir parola. Interdetto provo a ripetergli cosa voglio, immagino sia un pò sordo e quindi scandendo le parole e mimando gli oggetti ripeto: “salve, prendo questi, una bottiglietta d’acqua e poi il pieno alla macchina grazie”.  Continua a fissarmi altri 2 secondi e finalmente risponde: “non sono sordo” poi riapre il registro e inizia a scorrere i nomi col dito. Lo osservo stupito. Mi spazientisco, l’armonia è sparita, la musica è diventata fastidiosa e il disagio che mi provocava il vecchio si trasforma velocemente in astio. Dopo varie pagine si ferma, mi guarda e accenna un sorriso.

V: “ Benvenuto, sei pronto?”.
B:“pronto? Non so di cosa stia parlando, voglio solo quanto le ho già detto, e se non le spiace ho una certa fretta”
V:“Fretta…va bene sono 8 dollari e 50, questa è l’acqua … per il pieno andiamo fuori”.
Sollevato lo seguo. Eccoci di nuovo fuori. Prima di arrivare a destinazione si volta di scatto. Noto ancora più rughe ora che la sua faccia è illuminata dal sole.
V:“ Picchia il sole oggi è?”
B:“Si, è insopportabile, anche il motore la pensa allo stesso modo” indico la mia mustang.
V:“Veramente un bel pezzo”.
B: “Già, ci tengo molto, ho sudato parecchio per averla”.

E’ cambiato ora. Sembra più spigliato. Si rigira e si avvicina alla pompa, la prende in mano e inizia a iniettare la benzina all’interno del serbatoio.

V:“Sai, io non credo che ti servirà”.
B:“Cosa?”
V:”Non credo che ti servirà l’auto alla fine di questa strada”.
B:“E lei cosa ne sa? Avrò un sacco di cose da fare e certamente ne avrò bisogno … tra l’altro, ora che ci penso, sa quanto serve per raggiungere la meta?”
V: “Dammi pure del tu ragazzo. Comunque, non so,ci son stato solo una volta e ora non mi è più permesso arrivare oltre la fine della strada … non ricordo”.

Son sempre più confuso.

B:“Cosa vuol dire che non ti è permesso? Se è un problema di mezzi, ti ci porto io.”
V:Scoppia in una risata fragorosa che mi lascia interdetto. “Sei molto gentile ragazzo ma proprio non posso, il mio posto è qui”

Certo ormai  vive qui da sempre però arrivare a dire che non gli è permesso, chissà, forse la vita solitaria e isolata gli avrà fatto perdere la testa.

V: “Non ho sempre vissuto qui ragazzo,la mia, è stata una vita normale o almeno spero, questa non è la vita che tu conosci, qui non puoi avere rimpianti o essere triste … perché tutto pian piano verrà cancellato, il tuo passato non esisterà più”

Mi spavento, sembra che mi abbia letto nel pensiero.

V:”non spaventarti … io sono stato messo qui, e qui svolgo il ruolo che mi sono meritato,e tu sarai messo da un’altra parte è il destino di tutti prima o poi. Sai, ero come te,credevo di essermi perso ma, sembra impossibile, non mi ero accorto di niente, è così, sono le regole, hai seguito, diciamo, un corso di formazione e ora devi svolgere il tuo lavoro … e dimenticherai tutto, non so perché ma dimenticherai tutto, io lo so, sono il guardiano.”

Capisco sempre di meno.

B:“Tu sei pazzo vecchio, e io non mi sono perso, ho un sacco di cose da fare a destinazione”
V:Sorride.“allora ti faccio una domanda, dove sei diretto?”.
Quella domanda mi coglie alla sprovvista.
B:“In fondo alla strada”.
V:“interessante, ma tu sai dove finisce questa strada?”
B:“Certo che lo so, sono partito ieri notte perché ho delle cose urgenti da fare”
V:“Però non sai di preciso cosa devi fare …”

Rimango sgomento.
B: “Stai blaterando vecchio, eccoti i soldi io ho fretta”
V:“certo, certo, vai, hanno tutti fretta quelli che passano di qui, ma non capite che qui il tempo non ha senso, non esiste se non nella dimensione in cui …”.

Non lo lascio finire e rientro in macchina, parto velocemente e nello specchietto noto che mi saluta con la solita aria appagata che mi innervosisce. In macchina ripenso alle sue parole, effettivamente non ho riferimenti, lungo la strada non ho visto cartelli,non riesco proprio a ricordare perché sono partito e dove sono diretto, so di aver delle cose urgenti da fare ma non le ricordo. Dai Beppe, ragiona, ci deve essere una spiegazione logica. Inizio a sudare freddo, non è che … driiiiin-driiiiin-driiiiiin

LA STRADA - parte 1

Sono in viaggio lungo una di quelle statali americane che attraversano il deserto. Un cuneo civilizzato che si immerge tra cespugli secchi, cumuli di sabbia e pian piano affoga tra le enormi rocce che si impongono all’orizzonte. Mi trovo sul sedile anteriore di una Mustang blu ormai sporca e affaticata per i km macinati sotto l’intemperanza del sole, saranno circa le 2 del pomeriggio, il cofano crepita e la benzina inizia a calare inesorabilmente. Lo so, molti di voi staranno pensando che è sempre la solita solfa, la storia a lieto fine di uno sciroccato che si è fatto prendere un po’ troppo dai film americani, non vi contraddico e probabilmente vi darà proprio questa impressione ma intanto, continuate a leggere. Dopo questa digressione un po’ scorretta, riprendo posto sul mio sedile sudato e torno ad indossare i Ray-Ban neri lasciati sul cruscotto. Passato qualche minuto, e qualche altro chilometro,  finalmente mi ritrovo nei pressi di un isolato distributore di benzina , nato probabilmente per dare pace alle urla spente di quelle anime sprovvedute che non avevano previsto le insidie della traversata. Il distributore è insabbiato e logoro,ed  è ormai parte del deserto e, se non emanasse ancora qualche goccia di vita, sarebbe impossibile distinguerlo dalle altre rocce. Oltre al distributore c’è una casetta su due piani, al primo un piccolo negozio  davanti al quale campeggia uno scaffale girevole pieno di cartoline e, più in alto, quello che sembra un appartamento. Mi fermo di fianco a una delle pompe rosse, scendo dal mio cavallo di razza sfinito e non posso fare a meno di notare che sulla veranda, seduto su una cadente sedia di legno scuro, c’è un vecchio con un cappello da cowboy di quelli tanto usati nei film del grande Sergio Leone. Indossa una salopette di jeans malandata che nasconde in parte una dozzinale t-shirt di cotone che in origine doveva essere bianca. Ha il viso sciupato dal sole e la bocca fa da contorno a un sigaro consumato che diffonde una piccola scia di fumo,  rendendo il vecchio ancora più curioso. Vengo subito colto da un sentimento di pietà nei suoi confronti e inizia a scorrere nella mia testa il film della sua vita. Probabilmente vive in quella casa da sempre, i suo secondi sono scanditi solo dal passaggio di qualche rosa di Gerico trascinata dal vento e i suoi contatti col mondo son limitati a qualche passante come me o a brevi colloqui con qualche rude camionista che gli fornisce la merce. E’ sicuramente un giudizio affrettato, e infatti riguardando il vecchio, scorgo nel suo viso una stonata tranquillità. Man mano che lo osservo sento crescere in me un certo disagio, non riesco a togliermi dalla testa la convinzione che la sua vita, confinata in quel piccolo angolo di mondo, sia stata triste e vuota. La sua aria appagata e senza rimpianti è un raschietto muto che tenta di sgretolare le futili convinzioni con le quali fui marchiato dal giorno in cui nacqui tra i grattacieli. Non ho ancora fatto benzina ma, incuriosito, mi avvicino al vecchio. Non mi degna di uno sguardo, è sicuramente perso in qualche viaggio, si vede che nei suoi occhi brilla la luce del sognatore. Decido di non intromettermi quindi entro nel negozietto, sperando che questo lo distolga dalle sue riflessioni. Il negozio è più angusto di quel che avevo immaginato, impolverato, e le assi di legno scricchiolano sotto il mio passo stanco. Noto vari gadget tipici della zona e una grande bandiera americana risalta appena al di sotto di una targhetta commerciale della coca-cola, una di quelle in alluminio che si vedono spesso  sui muri pallidi di qualche bar di periferia. Un piccolo altoparlante nell’angolo destro della stanza suona una canzone country che non conosco, ma che si adatta perfettamente allo scenario mettendolo in movimento. Ogni elemento è disposto in maniera ineccepibile seppur il caos la faccia da padrone , anche quel cactus in plastica vicino alla cassa che suona la chitarra, è bizzarro certo,  ma si incastra perfettamente tra gli altri elementi del quadro. Prendo due bacchetti di carne secca e un pacchetto di Marlboro e attendo che il vecchio si accorga della mia presenza. Non c’è nulla che mi tormenti in quel momento, anche il caldo e la paura di non finire quel viaggio, sono spariti. Continuo a vagare con lo sguardo che cade disinteressato su un elenco di nomi, alcuni dei quali sono cancellati con una riga ma non trovo la curiosità per leggere e mi lascio cullare dalla musica cadendo in uno stato di trance catatonica. Ad un tratto vengo risvegliato dal cigolio della porta che diventa sempre più forte culminando in un rumore sordo e innaturale.
Finalmente il vecchio è entrato.

ITALIA, TRA TECNICI E PREDICATORI

Dico la verità, ero un po’ scettico sul fatto di inaugurare il mio blog con un post che affrontasse argomenti politici e sociali, ma visto che è troppo facile basare il proprio pensiero esclusivamente su una banale comicità, ho scelto, per questa volta, di affrontare un tema al tempo stesso difficile e interessante, accollandomi tutti i rischi che ciò può comportare. Ci sarà certamente tempo per mostrare e approfondire il mio feeling con le cazzate e per farvi leggere le storie più improbabili che si snodano nel labirinto della mia personalità.  Le mie mattine in questo periodo esente da lezioni, hanno pian piano iniziato a delinearsi secondo uno schema ben preciso. Mi sveglio presto, con mia madre che emette versi improbabili, e dopo il breve colloquio col mio grande amico caffè (in cui lui finisce sempre per sparire senza neanche salutare), inizio a farmi bombardare dall’enorme numero di informazioni che mi arrivano dal mondo, attraverso una rete che pian piano inizia a stritolarmi. Come al solito mi trovo a girare tra blog o giornali per tentare di non affondare nella merda innevata  che ci propina la nostra tv in questo periodo. E come non potrei parlare del tanto discusso “posto fisso” , un argomento che mi preme affrontare in veste di diretto interessato. Il messaggio di Monti era una semplice constatazione: il posto fisso non esiste più e i giovani devono impegnarsi per trovare strade alternative. Fin qui nulla di sbagliato, il problema del precariato non è nato certo oggi. L’errore dei tecnici è stato quello di scaricare la colpa di ciò esclusivamente su noi giovani affidandoci nomignoli come bamboccioni o peggio, sfigati . Ovviamente se queste frasi  le dici avendo la poltrona sotto il culo da 50 anni puoi causare qualche malumore soprattutto se fai di tutto per non assumerti le tue responsabilità. Il governo deve fare in modo che i giovani possano trovare delle strade alternative. Certo il mondo sta cambiando, è un dato di fatto, e noi dobbiamo cambiare mentalità (questo è il vero messaggio ed è la semplice constatazione di un qualunque realista) ma con noi dovrebbe farlo anche il nostro paese ancora troppo legato ai vecchi sistemi e vittima di una gerontocrazia dominante che tiene i giovani lontani dai ruoli chiave. Vengono proposte nuove iniziative, ma hanno sempre il piccolo problema di essere  incomplete e risultare nient’altro che progetti campati per aria senza alcun fine. Per esempio, ora puoi aprire un’impresa con un euro di capitale e senza notaio, ma manca comunque la parte dei finanziamenti in quanto le porte del credito continuano a rimanere chiuse. Questo è un altro argomento scottante, in quanto il credito ti è concesso solo se offri le prove di una certa solidità economica, che nella maggior parte dei casi significa posto fisso. Quindi basta dar la colpa esclusivamente a noi, è l’Italia intera che deve cercare strade alternative per andare avanti e modernizzarsi. Bisogna invertire la tendenza e permettere a noi giovani di credere nel nostro paese invece che metterci sulle spalle tutti gli errori del passato. Io voglio credere nel mio paese ma mi trovo sempre più spesso ad odiarlo, in quanto non esiste l’equità ma solo il moralismo (fatto anche male) e nel quale la meritocrazia è andata a farsi fottere da tempo immemorabile. E’ per questo che dobbiamo lottare, per fare in modo che il nostro paese ci aiuti ad affrontare i cambiamenti e cambi con noi lasciandosi alle spalle un sistema ormai marcio, e non per cose che volenti o nolenti non esistono più. Comunque se proprio non abbiamo voglia di sbatterci per cambiare le cose, affidiamoci alle parole di un Celentano in veste di Messia che ha detto:“ c’è qualcos’altro dopo di cui i preti non parlano, questa non è vita, che cazzo di vita è senno”  ha ragione, non preoccupatevi, sotto terra non ci sono tutti questi problemi.